WORK-LIFE BALANCE: Il dovere alla conciliazione

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La riflessione sulla partecipazione e sull’incremento delle donne nel mercato del lavoro è da anni al centro di molteplici atti normativi. 

In questo articolo vorremmo riflettere sul tema della conciliazione vita-lavoro e commentare alcune proposte di legge della Camera dei Deputati  che recano disposizioni volte a sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e a favorire la parità retributiva tra i sessi.

Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

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Analisi empirica del contesto

Le analisi di lungo periodo dell’Istat  – basate sugli ultimi 40 anni – mostrano un divario occupazionale di genere decrescente. Ciò è principalmente dovuto all’influenza della crisi del 2008 sull’occupazione maschile ed al fatto che – mezzo secolo fa – l’occupazione femminile era estremamente bassa. Questo non deve però distrarre da un altro importante dato: il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia resta tra i più alti di Europa.

Se si scorporano i dati occupazionali per fasce d’età, emerge che, per le donne nella fascia di età 35-44 anni, il livello occupazionale è di soli 0,4 punti percentuali superiore al valore del 1993. Al contrario, il tasso di occupazione nella classe 45-54 anni è cresciuto di quasi 9 punti (dal 63,6% al 72,3%), aumento dovuto anche all’innalzamento dell’età pensionabile. Infine, il tasso di occupazione tra le 25-34enni è ancora sotto i livelli pre-crisi del 2008 di quasi 5 punti percentuali.

La criticità occupazionale delle giovani donne condiziona, inoltre, anche la qualità del lavoro: un peggioramento in termini di precarietà, part-time, e crescita del fenomeno della sovra istruzione. Le donne con un lavoro part-time sono ormai un terzo, contro l’8,7% degli uomini; inoltre, l’incidenza delle occupate part-time è più elevata tra le più giovani.

L’11,1% delle donne che ha avuto almeno un figlio non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli. Questo dato pare esser proprio del contesto culturale della nostra penisola discostandosi vertiginosamente dalla media comunitaria (3,7%). Di fatto anche la mera partecipazione delle donne al mondo del lavoro è molto legata ai carichi familiari: il livello occupazionale delle madri è più basso del 26% di quello delle donne senza figli.

Lo stesso non si verifica tra i padri: sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto[1] della propria attività lavorativa alla nascita di un figlio. Peraltro, le donne presentano anche una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari.

Emerge quindi che la conciliazione dei tempi di vita è ancora un forte ostacolo al raggiungimento dell’equità di genere.

Il part-time è spesso considerato strumento di conciliazione dei tempi di vita e gode di un’esplicita relazione positiva con la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: di fatto la diffusione del lavoro a tempo parziale ha contribuito alla crescita dell’occupazione femminile nella quasi totalità dei paesi sviluppati. Risulta la tipologia contrattuale più compatibile con le responsabilità di cura: non a caso, nella disciplina contrattuale aziendale, le prime due causali per le quali si può chiedere la fruizione del part-time sono: a) per accudire i figli; b) per occuparsi di altri famigliari. Tuttavia, può rivelarsi anche una forma contrattuale condizionante: consente alla donna di conciliare l’alternanza vita-lavoro, ma ne limita l’effettiva operatività professionale. Questa tipologia di rapporto lavorativo mette la donna in condizione di: recepire stipendi più bassi, avere minori possibilità di far carriera, trovarsi in maggiore precarietà e – di tal guisa – ottenere in futuro pensioni più basse (oltre a determinare differenziali di genere nei redditi da lavoro).

Crediamo che il part-time, al pari dello smart working e della flessibilizzazione del lavoro, in prima istanza possano contribuire ad incrementare l’occupazione femminile, ma nell’attuale contesto culturale non siano il mezzo adeguato in quanto non fanno che confermare la tacita esclusività della donna verso tutto ciò che riguarda le attività domestiche e di cura della famiglia, continuando pertanto a limitarne pesantemente il potenziale e le capacità di “camminare” allo stesso passo dell’uomo verso i traguardi lavorativi.

L’audizione ISTAT mostra un grande squilibrio tra i generi nell’adozione delle soluzioni di conciliazione: crediamo che sia prioritaria la necessità di un approccio che sostenga la condivisione delle responsabilità familiari, piuttosto che un mero incentivo alla conciliazione tra vita privata e lavorativa del genere femminile.

A questo proposito, alcune misure proposte dalla xi commissione della camera dei deputati vanno in questa direzione.

[1] Dal cambiamento dell’orario di lavoro (fino al 44,9%) sino all’interruzione dell’attività lavorativa (fino al 19%).

Le proposte della commissione

La commissione si propone, in primis, di incentivare la condivisione dei doveri dell’attività di cura potenziando, per esempio, opportunità e incentivi che inducano gli uomini ad avvalersi degli strumenti di conciliazione [Direttiva Europea n° 253 del 2017; p. 2] tra cui:

  • Congedo parentale – aumento sino all’80 per cento della percentuale di retribuzione a cui è parametrata l’indennità: Introdotto con l’art. 60 del d.lgs. n. 151 del 2001 e, dopo la legge 81/2017, ampliato anche ai lavoratori autonomi. Si tratta di un’astensione facoltativa dal lavoro fruibile da entrambi i genitori. Dal punto di vista formale, l’introduzione del congedo parentale rappresenta un grande successo in quanto, per la prima volta la titolarità di astenersi dal lavoro, non spetta più alle sole madri, ma ad un nuovo soggetto di diritto sessualmente neutro. Purtroppo, nella pratica, una bassa percentuale dei padri si serve del congedo parentale.
  • Estensione temporale del congedo di paternità obbligatorio e facoltativo: il congedo di paternità è stato reso obbligatorio con la riforma Fornero. Per quanto sia apprezzabile come politica, i giorni obbligatori fruibili dal padre sono estremamente esigui e sicuramente insufficienti a incidere in modo significativo sull’organizzazione familiare e sociale.

Altri interventi poi, sono stati delineati per agevolare la partecipazione della donna all’attività lavorativa e garantirne parità di trattamento.

  • Detrazione (o credito) di imposta sino al 50% per le aziende che redigono annualmente un piano di azioni per la parità di trattamento retributivo
  • Agevolazioni al rientro al lavoro dalla maternità:
    • Bonus di 150 euro mensili alle lavoratrici dipendenti private per 3 anni dopo il rientro dalla maternità.
    • Estensione (da 3) a 5 anni dopo la conclusione del congedo di maternità del periodo in relazione al quale le richieste delle lavoratrici madri di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile sono da considerarsi indennità pari al trattamento di integrazione salariale.
    • Esonero (per un periodo) per i datori di lavoro dal versamento di una quota della contribuzione per trattamento integrativo dovuto alla madre alla fine del congedo obbligatori.
  • Sgravi contributivi: esoneri dal versamento di contributi (fino a 36 mesi) per i datori di lavoro che hanno come dipendenti donne che usufruiscono del bonus di 150 euro mensili per 3 anni dopo il rientro dalla maternità o per assunzioni di donne con contratto a tempo indeterminato effettuate dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2022.
  • Obbligo di redigere un rapporto situazione del personale maschile e femminile

Dulcis in fundo, l’offerta di servizi potrebbe essere uno strumento estremamente efficace in grado di favorire una maggior partecipazione al lavoro retribuito sollevando le donne dalle incombenze dei lavori di cura in famiglia. I dati Istat mostrano come, nei territori con minore offerta di servizi di sostegno al lavoro familiare, l’occupazione femminile sia estremamente bassa.

Tali risorse possono provenire tanto dal settore pubblico quanto privato, si parla infatti di finanziamenti per lo sviluppo di sistemi socio-educativi per la prima infanzia, buoni per l’acquisto di servizi di babysitting o per il pagamento delle rette dei servizi per l’infanzia per 11 mesi dopo il congedo di maternità, ed esenzioni dalle imposte per i privati che avviano attività di asilo nido, di baby parking e ludoteche.

In attesa, quindi, che la società Italiana possa in futuro allinearsi sempre di più alle disposizioni comunitarie – ove la partecipazione equilibrata di uomini e donne all’attività professionale e alla vita familiare è considerata un elemento indispensabile allo sviluppo della società (Direttiva UE 2019/1158) – abbiamo particolarmente apprezzato e scelto di sottolineare le proposte fatte dalla camera come alternative più auspicabili alla conciliazione.

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Autore: Filippo Damiani

Dottorando del 34° ciclo in “Lavoro, Sviluppo e Innovazione” presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e presso la Fondazione Marco Biagi, con la quale partecipa a diverse attività di terza missione. Nelle sue ricerche si interessa ai temi inerenti all’innovazione regionale e alle politiche europee dello sviluppo con particolare attenzione alla prospettiva di genere. È inserito in un programma di co-tutela nel Dottorato in “Ciencias sociales – igualdad de género” presso la “Universidad Pablo de Olavide” a Siviglia (Spagna).

Autrice: Chiara Tasselli

Dopo un anno di ricerca presso il Centro Analisi Politiche Pubbliche (Capp), attualmente frequenta il corso di Dottorato in Lavoro, Sviluppo e Innovazione. Il suo progetto si pone come macro-obiettivo lo studio verticale del capitale umano con un’attenzione particolare ai differenziali di genere e implicazioni sul mercato del lavoro. Trasversalmente ricopre il ruolo di esercitatrice e tutor di macroeconomia per corsi di laurea del dipartimento di Economia “Marco Biagi”.
Nel di Team di IDEM Lab esercita principalmente competenze econometriche, di analisi e interpretazione dei dati.

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