Italia fanalino di coda nel Gender Equality Index promosso da Abrdn

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Secondo il Gender Equaliy Index elaborato da Abrdn, l’Italia si posiziona 28° tra i 29 Paesi dell’OECD, superando solo il Giappone e inseguendo Paesi come Grecia, Slovacchia e Polonia. I risultati peggiori si registrano nelle condizioni macroeconomiche in cui l’Italia è all’ultimo posto nel ranking.

Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

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Sono sempre più gli indici volti alla misurazione della parità di genere, dai più famosi come EIGE (che ha appena rilasciato la sua ultima edizione il 28 ottobre scorso) ad altri meno conosciuti come quello di Abrdn[1]. Il Gender Equality Index di Abrdn propone un ranking tra i 29 Paesi dell’OECD basato su tre pilastri: condizioni macroeconomiche (il livello attuale di uguaglianza di genere nella forza lavoro), politiche (evidenze empiriche rispetto fattori di policy che influenzano la parità di genere) ed empowerment (la cultura per l’empowerment femminile nella forza lavoro e nella società). Vengono studiati in totale 18 indicatori: sei per il primo pilastro (tra cui citiamo gli indicatori Gap in part time working e Gap in participation rate), otto per il pilastro delle politiche (contenente indicatori come Maternity and Paternity leave), e quattro per la parte relativa all’empowerment (in cui troviamo indicatori come Pay/work inequality). I dati sono reperiti prevalentemente da tre fonti diverse: OECD, World Bank e V-Dem[2].

Guardando i risultati generali, l’Italia, con i suoi 55 punti[3] si posiziona 28° tra i 29 Paesi mappati, superando solo il Giappone (ultimo con 54 punti) e inseguendo Paesi come Grecia, Slovacchia (entrambe a 59 punti) e Polonia (57 punti).

Disaggregando l’indice generale nei tre pilastri, i risultati peggiori si registrano nelle condizioni macroeconomiche (ultimo posto nel ranking), mentre invece il pilastro dedicato alle politiche (20° posto) e quello riguardante l’empowerment (16° posto) mostrano risultati più incoraggianti anche se ancora lontani da una situazione di parità. Poco sorprendentemente, il ranking complessivo è dominato dai quattro Paesi scandinavi, nell’ordine: Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia.

Entrando nel merito dei risultati dell’Italia nei sei indicatori che compongono il primo pilastro, il più critico, facciamo riferimento alla tabella riportata qui sotto.

IndicatorePunteggioRank IT
1.1 Female labour force participation rate42,7%28° su 29
1.2 Gap in participation rate18,2%28° su 29
1.3 Female education (years of total schooling)9,2%27° su 29
1.4 Gap in part time working23,9%23° su 29
1.5 Gap in unemployment rate1,7%27° su 29
1.6 Gap in self employment9,8%28° su 29

Vediamo dalla tabella come l’Italia si trovi tra le ultime posizioni in tutti gli indicatori. Nell’indicatore 1.1 (tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro) precediamo solamente alla Corea del Sud (42,6%), così come nell’indicatore 1.2 (divario nel tasso di partecipazione), dove il gap della Corea è del 19,8%. Nell’1.3 (educazione femminile – anni di istruzione media) superiamo invece l’Austria, che ha in media 9 anni di scolarità femminile e il Portogallo, che ne di anni ne ha solo 7,1 di media. L’1.4 (divario nel lavoro part-time) è l’indicatore del pilastro dove l’Italia ottiene il risultato migliore in termini di ranking; tuttavia, siamo lontani da Paesi come Portogallo, Slovenia, Grecia (per citarne alcuni del Sud Europa) il cui gap è inferiore al 10%. Torniamo poi nelle ultimissime posizioni nell’1.5 (divario nel tasso di disoccupazione), in cui siamo davanti solo a Spagna (3,6%) e Grecia (6,3%), e nell’1.6 (divario nel lavoro autonomo), in cui superiamo solo l’Irlanda, il cui gap è del 12,4%. Da menzionare anche il risultato riguardo l’indicatore Paternity leave (pilastro delle politiche), in cui in Italia si registrano solamente 4 giorni di congedo retribuito per i padri (21° posto nel ranking); a differenza di altre nazioni latine come in Spagna e Portogallo dove tali indici raggiungono rispettivamente un mese o addirittura più di 5 mesi.

Gli indicatori che abbiamo commentato mostrano una situazione, per l’Italia, di ritardo rispetto gli altri Paesi OECD, e soprattutto evidenziano tutti i limiti posti dalla società, la quale è ancora un forte ostacolo per la piena emancipazione femminile e l’uguaglianza di genere. Risultati insoddisfacenti in indicatori come il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro, la media di anni di istruzione, il divario nel lavoro part-time e i congedi di paternità retribuiti ci ricordano di quanto sia necessario spendersi per promuovere una cultura di genere anche negli ambienti di lavoro, dai quali possono emergere sfide e opportunità di miglioramento importanti verso una maggiore uguaglianza di genere. Proprio per questo, all’interno del modello IDEM è possibile trovare indicatori che cercano di tracciare questa situazione, come la percentuale di donne in organico, il monte ore pro-capite di formazione donne/uomini, la percentuale di beneficiari part-time e la percentuale di dimissioni al primo e al terzo anno di vita, indicatori che permettono di verificare cosa accade all’interno di un’impresa, in maniera simile a quanto lo studio di Abrdn cerca di visualizzare a livello di Paesi.

Accettare di mettersi in gioco ora come impresa -a livello micro- significherebbe influire – macroeconomicamente – sul risultato nazionale, aiutando il Paese ad ottenere una migliore posizione in classifica ed andare verso un futuro più giusto.

[1] Precedentemente chiamata Standard Life Abardeen, una società di investimento britannica, con sede a Edimburgo. È quotata nel London Stock Exchange e nel Dow Jones Sustainability Indices. È parte del FTSE 100 Index.

[2] Per esteso, Varieties of Democracies, avente come obiettivo la produzione di indicatori per concettualizzare e misurare la democrazia.

[3] In una scala 0-100, dove 0 rappresenta il minimo livello possibile di Gender Equality e 100 il massimo livello possibile.

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Autore: Filippo Damiani

Dottorando del 34° ciclo in “Lavoro, Sviluppo e Innovazione” presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e presso la Fondazione Marco Biagi, con la quale partecipa a diverse attività di terza missione. Nelle sue ricerche si interessa ai temi inerenti all’innovazione regionale e alle politiche europee dello sviluppo con particolare attenzione alla prospettiva di genere. È inserito in un programma di co-tutela nel Dottorato in “Ciencias sociales – igualdad de género” presso la “Universidad Pablo de Olavide” a Siviglia (Spagna).

Autrice: Chiara Tasselli

Dopo un anno di ricerca presso il Centro Analisi Politiche Pubbliche (Capp), attualmente frequenta il corso di Dottorato in Lavoro, Sviluppo e Innovazione. Il suo progetto si pone come macro-obiettivo lo studio verticale del capitale umano con un’attenzione particolare ai differenziali di genere e implicazioni sul mercato del lavoro. Trasversalmente ricopre il ruolo di esercitatrice e tutor di macroeconomia per corsi di laurea del dipartimento di Economia “Marco Biagi”.
Nel di Team di IDEM Lab esercita principalmente competenze econometriche, di analisi e interpretazione dei dati.

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