L’ascesa dell’intelligenza artificiale – una rivoluzione da cui le donne rischiano di rimanere escluse

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La parità di genere è inserita tra i principali obiettivi da tutte le principali istituzioni internazionali, come ONU e Unione Europea, e nazionali, basti pensare al fatto che la parità di genere è uno dei tre obiettivi trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. IDEM nasce nel 2020 con la missione di dare un contributo effettivo alla riduzione delle diseguaglianze di genere nelle organizzazioni, attraverso l’IDEM Index, una metrica specifica, scientificamente validata, in grado di rappresentare il livello effettivo di gender equality.

Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

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Alcuni dati sulla parità di genere nel mondo del lavoro

La rapidissima ascesa della tecnologia dell’intelligenza artificiale sta cambiando la società e il mondo del lavoro, permettendo di immaginare campi ancora inesplorati dagli esseri umani e la nascita di nuove opportunità lavorative, ma allo stesso tempo il rischio è che le donne restino fuori da questa rivoluzione e che la discriminazione di genere venga rafforzata. L’area Artificial Intelligence (AI) & Data Science, caratterizzata da salari elevati e in forte espansione, è infatti contraddistinta da un forte squilibrio di genere: come riporta il World Economic Forum, nel Global Gender Gap Report, a livello globale circa un quarto delle figure professionali impiegate in questo campo sono donne, mentre il report “Artificial Intelligence, platform work and gender equality” dell’European Institute for Gender Equality (EIGE) sottolinea la maggiore probabilità che esse siano concentrate nelle mansioni meno qualificate e nei livelli gerarchici inferiori. Il rapporto di EIGE mostra dati poco incoraggianti: nell’Unione Europea e nel Regno Unito solo il 16% delle persone con competenze nel settore dell’Intelligenza Artificiale è donna. Tuttavia, il divario di genere sembra ridursi considerando l’esperienza lavorativa nel settore: le donne con oltre dieci anni di esperienza rappresentano il 12% del totale, mentre il dato sale al 20% se si considerano le donne fino a due anni di esperienza nel settore. Come si può ben immaginare, il gap di genere mostrato nel mercato del lavoro è anticipato dal divario rintracciabile nei percorsi formativi, che vedono solo il 22% di ragazze impegnate in dottorati di ricerca in AI e informatica nel Nord America, secondo quanto riportato dal report “Women in AI” di Deloitte AI Institute. Questo crea un importante squilibrio di genere già ai blocchi di partenza del mondo del lavoro, tanto più se si considera che sono le competenze in questo ambito ad essere le più richieste, come evidenzia il rapporto “The Future of Jobs Report 2023” redatto dal World Economic Forum, che mostra che le competenze che le aziende considerano altamente prioritarie riguardano l’intelligenza artificiale e i big data. Inoltre, nell’ambito dell’adozione delle tecnologie, occupano un posto di primissimo rilievo nella probabilità di adozione i big data, il cloud computing e l’AI, con oltre il 75% delle aziende intervistate che intende adottare queste tecnologie nei prossimi cinque anni. I dati riportati mostrano anche l’impatto della digitalizzazione del commercio e degli scambi: le piattaforme e le app digitali sono le tecnologie maggiormente in previsione di adozione da parte delle organizzazioni intervistate, con l’86% delle aziende che prevede di incorporarle nelle proprie attività entro il 2027. Sempre secondo i dati raccolti dal World Economic Forum, i datori di lavoro prevedono un cambiamento strutturale del mercato del lavoro pari al 23% dei posti di lavoro nella stessa finestra temporale, con tale discontinuità costituita dal mix composto da posti di lavoro emergenti (aggiunti) e posti di lavoro in declino (eliminati). In particolare, si prevede che il 42% delle attività aziendali sarà automatizzato entro il 2027, e soluzioni di AI dovrebbero essere adottate da quasi il 75% delle aziende intervistate, generando un elevato turn over, con il 50% delle organizzazioni che prevede di creare una crescita dei posti di lavoro e il 25% che prevede, invece, una perdita di posti di lavoro. A tal proposito, una ricerca del Fondo Monetario Internazionale e dell’Institute for Women’s Policy Research, ha rilevato che sono le donne ad essere esposte a un rischio significativamente più elevato di perdere posti di lavoro a causa dell’automazione, poiché la maggior parte dei lavori che possono essere automatizzabili, come quelli impiegativi e amministrativi, sono proprio quelli ricoperti da donne e, al contempo, la scarsità di figure femminili nel campo dell’AI non permette loro di cogliere le opportunità di lavoro emergenti.

 

La non-partecipazione delle donne all’ambito AI desta preoccupazione e può generare nuove forme di discriminazione – anche inconsapevole – poiché gli algoritmi non si possono considerare prodotti neutri o neutrali, bensì creazioni umane e pertanto ideati e progettati da persone in possesso di un bagaglio di pregiudizi e stereotipi in larga parte inconsci. È necessario, dunque, tenere a mente che i sistemi di AI non sono per loro natura imparziali, al contrario possono introdurre pregiudizi nei dati che vengono raccolti e nelle variabili che vengono create, trasmettendo e incorporando il tutto all’interno degli algoritmi. Numerose ricerche, tra cui il rapporto dell’UNESCO “I’d Blush if I Could: closing gender divides in digital skills through education”, dimostrano chiaramente che i pregiudizi di genere sono presenti nei set di dati utilizzati dall’AI per l’apprendimento, con la conseguenza che gli algoritmi hanno il potenziale di diffondere gli stessi –il sistema si allena proprio con questi dati. Si pensi, citando il caso evidenziato dal report di EIGE sopra citato, ai programmi di assistenza vocale digitale (come Siri, Alexa e Cortana, tra gli altri), che sono intenzionalmente progettati per mostrare caratteristiche femminili, a partire dai loro nomi e le loro voci, mentre svolgono compiti di segreteria tradizionalmente e storicamente assegnati alle donne: in questo modo vengono rafforzati gli stereotipi di genere di disponibilità e accondiscendenza del genere femminile.

Ciò che solleva maggiore preoccupazione sono pertanto le conseguenze discriminatorie derivanti da pregiudizi e stereotipi inconsci che vengono trasmessi all’algoritmo – come può accadere nel caso di processi di selezione e gestione del personale derogati ad algoritmi, per via della convinzione che l’utilizzo estensivo dell’AI sia una garanzia di neutralità, oggettività e imparzialità – piuttosto dei comportamenti apertamente sessisti, più facilmente individuabili e di conseguenza contrastabili. Come ammonisce l’EIGE “molte pratiche di monitoraggio e sorveglianza algoritmica possono essere […] potenzialmente discriminatorie” raccomandando a chi si occupa di sistemi di AI per il recruiting e la gestione del personale di essere trasparenti riguardo alle decisioni di progettazione, raccolta e uso dei dati, di includere considerazioni etiche nella programmazione e di monitorare i risultati per prevenire pregiudizi e discriminazioni. Risulta quindi indispensabile, affinché gli algoritmi non siano discriminatori, aumentare l’eterogeneità dei team che si occupano del coding e favorire la presenza e partecipazione femminile a tutti i livelli. A tal proposito, nel sopraccitato rapporto di Deloitte “Women in AI” il 66% dei rispondenti ritiene che le soluzioni di intelligenza artificiale e di machine learning trarrebbero vantaggio dall’avere una maggiore diversity nelle posizioni di progettista e sviluppatore/sviluppatrice mentre il 71% condivide che l’integrazione di donne all’AI “porterà prospettive uniche all’alta tecnologia, necessarie per il settore”. Per poter integrare in questo ambito il maggior numero possibile di donne, il rapporto di EIGE propone come indicazioni di policy il colmare il divario di genere nei campi di istruzione legati all’AI (si consideri che nelle scuole secondarie di tutta l’UE, 4 ragazze su 5 non si dedicano mai o quasi mai ad attività di coding) e il concentrarsi sull’ingresso e sul mantenimento delle donne nel settore.

 

Come visto, il divario di genere è già presente prima dell’ingresso nel mercato del lavoro, con le ragazze che scarseggiano tra le studentesse STEM (e, in particolare, nella “T”, ovvero nella tecnologia), allontanate da questi percorsi da un mix di fattori socio-culturali che, quando interiorizzati, le convince a non essere naturalmente predisposte per quel percorso. Tra le condizioni per poter prendere in considerazione una carriera nel campo informatico troviamo ovviamente l’esposizione a role models, modelli femminili a cui potersi ispirare, su cui proiettare la propria immaginazione. L’anno appena giunto al termine, il 2023, è stato importante per le donne impegnate nel campo dell’AI, si pensi alla nomina a CEO di OpenAI (l’azienda che ha creato ChatGPT, il chatbot di cui più si è discusso nell’ultimo anno) di Mira Murati, ingegnera che nel 2023 è stata inclusa nella lista Time delle 100 persone più influenti al mondo e che ha precedentemente ricoperto il ruolo di Chief Technology Officer all’interno della stessa azienda. Ha contributo alla nascita di ChatGPT anche l’italo-americana Daniela Amodei, ex vicepresidente per la sicurezza e le policy di OpenAI ed ora co-fondatrice e presidente di Anthropic, una start-up che ha creato Claude, un altro chatbot che opera seguendo principi morali tratti da fonti tra cui Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, in quanto i fondatori ritengono che l’uso dell’AI debba avere un approccio etico. Tra le pioniere in questo settore troviamo, tra le altre, anche la professoressa d’informatica presso la Stanford University Fei-Fei Li, fondatrice di AI4ALL, organizzazione senza scopo di lucro che ha l’obiettivo di aumentare la diversità e l’inclusione di genere e nel settore dell’AI, Cynthia Breazeal, fondatrice e direttrice del Personal Robots Group presso il MIT Media Lab e pioniera nella robotica sociale o la professoressa presso la Duke University Cynthia Rudin, che si impegna nel campo degli strumenti di machine learning che aiutano le persone a prendere decisioni per la salvezza del pianeta.

 

La sfida che ci pone l’avvento dell’intelligenza artificiale è di quelle cruciali, che ridisegnano il mondo – e il mercato del lavoro – creando opportunità inesplorate, dove non può essere lasciato indietro il genere femminile. Ma per raggiungere tali risultati non si può prescindere da un massiccio intervento culturale che miri a scardinare i pregiudizi e gli stereotipi di genere, a partire dalla comunicazione di modelli di ruolo che possano ispirare le giovani, investimenti nei percorsi formativi nell’area STEM, in particolare nell’ambito tecnologico, e politiche organizzative che sostengano le carriere delle donne all’interno del settore.

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