La parità di genere è inserita tra i principali obiettivi da tutte le principali istituzioni internazionali, come ONU e Unione Europea, e nazionali, basti pensare al fatto che la parità di genere è uno dei tre obiettivi trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. IDEM nasce nel 2020 con la missione di dare un contributo effettivo alla riduzione delle diseguaglianze di genere nelle organizzazioni, attraverso l’IDEM Index, una metrica specifica, scientificamente validata, in grado di rappresentare il livello effettivo di gender equality.
Alcuni dati sulla parità di genere nel mondo del lavoro
Chi si occupa di gender equality guarda spesso con fiducia alle giovani generazioni, confidando nella loro capacità di riequilibrare le diseguaglianze di genere grazie a un approccio più informato e aperto al tema. Infatti, i giovani sono tendenzialmente più a loro agio con le norme sociali emergenti, essendo cresciuti con esse e con la convinzione che siano parte naturale della propria vita. Sorprende dunque rilevare che i ragazzi della Generazione Z siano maggiormente propensi a credere che il femminismo abbia prodotto “più danni che benefici”, secondo uno studio del King’s College London’s Policy Institute e del Global Institute for Women’s Leadership in partnership con Ipsos UK, che mostra un “rischio reale di divisione tra le generazioni future”. La ricerca, che si basa su un sondaggio rappresentativo di 3.716 persone di età superiore ai 16 anni, mostra come, in alcuni casi, i giovani uomini non siano più favorevoli alle azioni per la parità di genere rispetto agli uomini più anziani, nonostante siano generalmente più liberali dal punto di vista sociale. Inoltre, sono proprio i giovani a rivelarsi più preoccupati rispetto alle sfide che gli uomini devono affrontare. Solo un 35% dei ragazzi tra 16 e i 29 anni ritiene che sia più difficile essere una donna che un uomo mentre le ragazze della stessa fascia d’età che la pensano così sono il 68%. In generale, 1 uomo su 7 afferma che oggi è più difficile essere un uomo che una donna, mentre circa il 50% del totale delle persone intervistate ritiene che sia più difficile essere una donna che un uomo.
I risultati della ricerca mostrano che la spaccatura di genere è ancora più netta quando si parla dell’utilità del femminismo nella società contemporanea. Si prenda come esempio il caso dell’ex kick-boxer e influencer Andrew Tate, che si è reso protagonista di comportamenti misogini sulle piattaforme social (pubblicando contenuti ritenuti sessisti, razzisti e abilisti, comprendenti anche l’istigazione alla violenza e la colpevolizzazione delle vittime di violenza sessuale) finendo per essere arrestato in Romania con l’accusa di sequestro di persona e sfruttamento della prostituzione nel dicembre del 2022. L’influencer è seguito da 8,7 milioni di followers, anche di giovanissima età, e si è auto-dichiarato “un assoluto misogino” sul social media X. Ciononostante, 1 ragazzo su 5 di età compresa tra i 16 e i 29 anni afferma di averne una visione positiva – un dato tre volte superiore alla percentuale di ragazze intervistate della stessa fascia di età. Tra chi ha dichiarato di essere a conoscenza delle dichiarazioni di Tate, 1 persona su 7 ritiene che sollevi “punti importanti sulla minaccia all’identità maschile” e il grado di accordo con questa opinione è più alto tra gli uomini (18%); tra questi, la percentuale più alta in relazione alle fasce d’età appartiene ai ragazzi tra i 16 e i 29 anni (30%), seguiti dagli uomini di età compresa tra i 30 e i 59 anni (9%). Una conferma di questa tendenza arriva anche dall’analisi dei follower di Jordan Peterson, psicologo e accademico, celebre per le sue teorie antifemministe.
Per quanto riguarda il femminismo e gli sforzi fatti per creare pari opportunità tra uomini e donne, la percentuale di maschi con pareri negativi si aggira intorno al 15% ed è inaspettatamente maggiore tra i ragazzi della Gen Z rispetto agli Over 60, dimostrando come per una fetta della nuova generazione le lotte femministe siano andate troppo oltre e abbiano fatto più danni che benefici.
Guardando ad esempi concreti, lo studio ha rilevato che la platea indagata è in grado di riconoscere l’esistenza di fenomeni collegati alla discriminazione di un genere in particolare, come ad esempio guadagnare un reddito elevato per gli uomini, e prendersi cura della famiglia o subire una violenza sessuale per le donne. Ciononostante, una buona parte delle persone intervistate, soprattutto di sesso maschile, mostra una percezione della realtà distorta: circa il 30% degli uomini intervistati (contro il 15% delle donne) ritiene che i lavori domestici e la cura dei membri della famiglia siano aspetti che si applicano a entrambi i sessi in egual misura, nonostante i dati dimostrino che in realtà le donne sono maggiormente impegnate nelle attività domestiche e di cura.
I dati che emergono dal rapporto sono in controtendenza con l’opinione diffusa rispetto all’approccio all’uguaglianza di genere delle nuove generazioni, e devono essere valutati seriamente. La Professoressa Rosie Campbell, Direttrice del Global Institute for Women’s Leadership presso il King’s College London sottolinea come si stia assistendo “a una polarizzazione degli atteggiamenti dei giovani uomini e delle giovani donne nei confronti dell’uguaglianza di genere” e sospetta che una delle cause possa essere la maggiore diffusione di contenuti ostili attraverso i social media.
Questo studio ricorda quanto sia importante comprendere i bisogni delle nuove generazioni aiutandole nello sviluppo di un senso critico ed evitando che i avvicinino pericolosamente a posizioni estreme come quelle di Andrew Tate.
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