Italia al 18° posto in Unione Europea secondo il Global Gender Gap Report 2022

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Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

Lo scorso 13 luglio è stata pubblicata dal World Economic Forum la sedicesima edizione del Global Gender Gap Report 2022, in cui vengono raccolti i dati di 146 Paesi in tutto il mondo relativi a quattordici indicatori divisi in quattro dimensioni – salute e sopravvivenza, rendimento scolastico, partecipazione economica e opportunità, empowerment politico –.

A livello globale si sottolinea come per il raggiungimento della parità di genere serviranno ancora 132 anni, dato che ci mostra un leggero miglioramento rispetto ai 136 anni previsti dal Report del 2021. A livello macro-territoriale i risultati mostrano come il Nord America abbia conseguito il miglior risultato (76,9%) di poco superiore all’Europa (76,6%) e all’America Latina e Caraibi (72,6%). Al contrario l’Asia meridionale mostra il risultato peggiore (62,4%) dietro a Medio Oriente e Nord Africa (63,4%) e all’Africa Sub-Sahariana (67,8%).

Molto indicativa è la performance media delle quattro dimensioni analizzate: le aree salute e sopravvivenza, e rendimento scolastico hanno a livello globale un livello di parità quasi assoluto (95,8% per la prima area e 94,4% per la seconda); diversa la situazione per la dimensione partecipazione economica e opportunità con un risultato medio che raggiunge solamente il 60,3% della parità. Per quanto riguarda l’empowerment politico la situazione è sicuramente negativa, il suo punteggio arriva infatti appena al 22,0%, attestandosi come la dimensione i cui i risultati determinano maggiormente la posizione in classifica dei Paesi.

Considerando i risultati dei 27 Paesi dell’Unione Europea, si va dal secondo posto a livello mondiale della Finlandia (dietro solo all’Islanda) al centesimo posto occupato dalla Grecia. L’Italia occupa invece la sessantatreesima posizione, alle spalle dello Zambia e davanti alla Tanzania. Nelle Tabelle 1 e 2 sono riportati nel dettaglio i risultati dell’Italia nelle quattro dimensioni che compongono l’indice (Tabella 1) e nei quattordici indicatori complessivi in termini di piazzamento di ranking a livello di UE (Tabella 2), sapendo che per la Croazia non ci sono dati disponibili, riducendo quindi a 26 il numero di Paesi considerati.

Tabella 1 – Performance dell’Italia per dimensione, a confronto con i Paesi dell’Unione Europea.
Rank su 26 Paesi (dati non disponibili per la Croazia)

DimensioneRank
Partecipazione economica e opportunità26°
Rendimento scolastico19°
Salute e sopravvivenza20°
Empowerment politico13°
Tabella 2 – Performance dell’Italia per singolo indicatore, a confronto con i Paesi dell’Unione Europea. Rank su 26 Paesi (dati non disponibili per la Croazia)
IndicatoreRank
Tasso di partecipazione alla forza lavoro25°
Parità salariale per lavori simili25°
Reddito da lavoro stimato24°
Legislatori, alti funzionari e dirigenti23°
Operatori professionali e tecnici25°
Tasso di alfabetizzazione20°
Iscrizione all'istruzione primaria19°
Iscrizione all'istruzione secondaria19°
Iscrizione all'istruzione terziaria
Rapporto maschi/femmine alla nascita22°
Aspettativa di vita in buona salute19°
Donne in parlamento10°
Donne ministre12°
Rapporto tra n° di anni con una donna a Capo dello Stato e n° di anni con un uomo a Capo dello Stato20°

Da un primo sguardo ai risultati riportati nelle due tabelle appare chiaro come la situazione italiana non sia delle migliori. Infatti, l’unica dimensione in cui l’Italia registra risultati sopra la media tra gli Stati Membri è quella relativa all’empowerment politico, soprattutto per quanto riguarda la presenza di donne in parlamento e nel Consiglio dei ministri. I risultati sopra la media in questi due indicatori consentono all’Italia di piazzarsi complessivamente nel ranking al diciottesimo posto a livello europeo. Nell’ultimo indicatore l’Italia occupa il ventesimo posto, corrispondente all’ultima posizione, insieme a Cipro, Lussemburgo, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna e Ungheria; in questi Paesi, infatti, non si è mai registrata la presenza di una donna nel ruolo di Capo dello Stato.

Nelle altre tre dimensioni i risultati dell’Italia non possono dirsi soddisfacenti: solo diciannovesimo posto per rendimento scolastico – in cui spicca il primo posto per quanto riguarda la partecipazione all’istruzione terziaria, dato però uguale per tutti gli Stati Membri, non evidenziando, quindi, alcun vantaggio comparato – e ventesimo in UE per salute e sopravvivenza. Tuttavia, il dato relativo alla partecipazione economica e al lavoro è senza dubbio il più negativo, con l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea, in conseguenza dei risultati molto sotto la media in tutti e cinque gli indicatori che compongono la dimensione. Quest’ultimo dato è in linea anche con l’ultimo ranking proposto da EIGE: osservando la dimensione lavoro, pur analizzando indicatori diversi rispetto a quelli proposti dal World Economic Forum, la situazione dell’Italia non cambia e si conferma all’ultimo posto a livello europeo.

Il lavoro deve quindi essere il focus per l’impostazione e lo sviluppo di politiche di miglioramento, consapevoli del forte impatto negativo causato dalla pandemia sulle donne in un contesto già compromesso: le lavoratrici, infatti, stanno impiegando più tempo rispetto alla controparte maschile nel tornare ai livelli di occupazione di inizio 2020. Occuparsi di lavoro significa anche impostare la formazione in modo da ridurre i corsi di studio segregati: tra i Paesi OECD circa un terzo dei maschi laureati si laurea in materie STEM, contro una femmina su dodici; per contro, circa una femmina su due laureate ottiene il titolo in corsi umanistici o di area salute e benessere, contro un maschio su quattro. Questo divario è ancora più accentuato nel nostro Paese.

Riuscire a colmare il divario di genere, infine, significa anche investire nella prosperità nazionale. I Paesi che investono di più nel capitale umano tendono a essere più prosperi e, nella fattispecie, ciò viene confermato dal confronto tra l’indice di parità di genere riportato dal Global Gender Gap Report 2022 e il PIL pro-capite dei Paesi, dove si può osservare un’apprezzabile relazione positiva tra parità di genere e reddito pro capite.

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