Cosa ci frena nel raggiungimento della gender equality? Il nuovo report dell’OCSE fa il punto sul divario di genere

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La parità di genere è inserita tra i principali obiettivi da tutte le principali istituzioni internazionali, come ONU e Unione Europea, e nazionali, basti pensare al fatto che la parità di genere è uno dei tre obiettivi trasversali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. IDEM nasce nel 2020 con la missione di dare un contributo effettivo alla riduzione delle diseguaglianze di genere nelle organizzazioni, attraverso l’IDEM Index, una metrica specifica, scientificamente validata, in grado di rappresentare il livello effettivo di gender equality.

Gender Gap: non c’è gestione senza misurazione​

Quattro incontri per esplorare la misurazione come chiave per raggiungere e mantenere la parità di genere in azienda.

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Alcuni dati sulla parità di genere nel mondo del lavoro

L’Obiettivo 5 di sviluppo sostenibile di Agenda 2030 “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze” rischia concretamente di non vedersi realizzato entro i termini temporali previsti dalle Nazioni Unite. Come ci ricordano l’European Institute for Gender Equality (EIGE) e il World Economic Forum, infatti, serviranno circa 60 anni a livello europeo e 132 a livello globale per poter colmare il divario di genere. Dunque, se da un lato i progressi compiuti nel tempo sono certamente rilevanti, dall’altro serve fare di più e agire velocemente per accelerare questo processo.

A tal proposito, l’OCSE attraverso la recente pubblicazione di ampio respiro “Joining Forces for Gender Equality: What is Holding us Back?” si sofferma sul tema analizzando approfonditamente la situazione attuale e quanto si potrebbe – e dovrebbe – mettere in  campo  per agire concretamente, concentrandosi sugli sviluppi e le politiche per l’uguaglianza di genere, sul gender mainstreaming, sulle riforme volte ad aumentare il coinvolgimento della figura paterna nel congedo parentale e nell’assistenza all’infanzia, sulle iniziative di trasparenza salariale per affrontare i divari retributivi di genere fino ai sistemi per combattere la violenza di genere.

Come sottolinea lo stesso OCSE all’interno del report, promuovere l’uguaglianza di genere è prima di tutto “un imperativo morale” che risponde a esigenze di giustizia sociale, ma è anche una scelta economicamente saggia che può rafforzare una futura crescita economica e una coesione sociale paritaria tra uomini e donne. Ad esempio, il colmare il divario di genere nella partecipazione alla forza lavoro entro il 2060, incrementerebbe il PIL di oltre il 9% nei paesi OCSE, aggiungendo circa lo 0,23% alla crescita media annua – a dimostrazione che raggiungere questo obiettivo dovrebbe essere una prerogativa condivisa da ciascuno di noi e che non adoperarsi per l’uguaglianza tra uomini e donne significa mettere a rischio la prosperità collettiva futura.

Ciononostante, sebbene lo studio mostri evidenti progressi in alcune aree di policies, come il congedo di paternità, la trasparenza retributiva, le opportunità di lavoro flessibile, importanti sfide permangono, tra cui la necessità di incrementare la partecipazione delle ragazze nei settori educativi che promettono migliori opportunità di lavoro come l’area STEM, il divario di genere nei guadagni nell’arco della vita e nei redditi da pensione, la sproporzionata e ingiustificabile quota di cura e lavoro domestico non retribuito delle donne (a livello OCSE, le donne dedicano in media il doppio del tempo ai lavori domestici e di cura non retribuiti rispetto agli uomini), senza dimenticare la sottorappresentazione delle donne nella politica e nelle posizioni di leadership dei governi e nei board. Il tutto, poi, si colloca in un periodo particolarmente difficile, puntellato da crisi multiple, come la pandemia da Covid-19, la guerra di aggressione russa in Ucraina e la crisi climatica, che espongono ulteriormente i soggetti più vulnerabili, “minacciano di erodere alcuni dei progressi compiuti in materia di uguaglianza di genere nell’ultimo decennio” come ammonisce il Segretario Generale dell’OCSE Mathias Cormann, che sottolinea la necessità di “intensificare i nostri sforzi per affrontare i divari di genere prevalenti ed emergenti”.

Agendo in questa direzione, l’OCSE ribadisce come le politiche dovrebbero concentrarsi innanzitutto sulla promozione del giusto mindset per far progredire l’uguaglianza di genere. È un approccio integrato alla gender equality la strada da percorrere per contribuire a un progresso sostenibile, con i Paesi che devono compiere progressi nell’incorporare tale prerogativa nell’elaborazione delle politiche, riconoscendo le interconnessioni e rafforzando il nesso tra l’uguaglianza di genere e le più diverse aree di policies, nel segno del gender mainstreaming (ovvero la strategia per realizzare l’uguaglianza di genere che prevede l’integrazione di una prospettiva di genere nella preparazione, progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche, delle misure normative e dei programmi di budgeting) che più volte viene citato come strumento-chiave da seguire in questo percorso.

Sulla necessità di agire primariamente sul piano culturale e di mentalità, il report dedica un’ampia riflessione, proprio in virtù della sua centralità, concentrandosi in particolare sul ruolo svolto dagli stereotipi di genere. È emblematico in tal senso il paradosso per cui, nonostante le ragazze e le giovani donne abbiano raggiunto un grado scolarizzazione sempre maggiore, fino ad avere risultati superiori a quelli dei maschi (nei Paesi OCSE, tra i 25-34enni, il 53% delle giovani ha raggiunto un livello di istruzione terziaria, rispetto al 41% dei ragazzi), siano questi ultimi a ottenere migliori performance sul mercato del lavoro, in termini di occupabilità, percorsi di carriera e retribuzione. Come mostrano i dati, le donne tendono a essere rappresentate principalmente nei percorsi educativi e nelle professioni incentrate sulla cura e assistenza, che sono tipicamente caratterizzate da una retribuzione e prospettive di carriera inferiori rispetto alle professioni in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico (STEM), prevalentemente maschili ed elevatamente redditizie. Inoltre, altri recenti dati OCSE suggeriscono che le donne hanno in media 10 punti percentuali in meno di probabilità di essere occupate rispetto agli uomini e che circa tre quarti del divario retributivo (che si attesta mediamente a livello OCSE al 12%) possono essere spiegati dal fatto che le imprese pagano in modo diverso uomini e donne con competenze simili, riflettendo principalmente le differenze di compiti e responsabilità; il restante divario retributivo tra i sessi è il risultato della segregazione del mercato del lavoro tra uomini e donne, in particolare della concentrazione delle donne nelle imprese e nei settori a basso salario.

Possiamo considerare gli stereotipi di genere come la base su cui si fondano la segregazione verticale (fra livelli) e orizzontale (fra settori) tra donne e uomini, con le prime che accusano un evidente svantaggio in entrambi gli ambiti. Occorre dunque agire, come ci ricorda proprio questo report, primariamente sul piano culturale se si vogliono ottenere dei risultati tangibili sul mercato del lavoro. Gli stereotipi di genere che descrivono e prescrivono il genere femminile in un determinato modo e quello maschile in un altro (opposto) – per cui una donna che è anche madre “dovrebbe” rinunciare  a parte del lavoro retribuito per prendersi cura dei figli, mentre è il padre ad essere “naturalmente” indicato come la figura del breadwinner, o una studentessa è considerata “naturalmente” predisposta per le materie umanistiche, mentre un maschio “dovrebbe” essere portato per la matematica – esistono a livello individuale, familiare, scolastico e sociale. Ne consegue che ne siamo tutte e tutti portatori, anche inconsci, e ciò plasma la nostra visione della realtà. Il pesante fardello del lavoro di cura e non retribuito sulle spalle delle donne è una delle più evidenti manifestazioni delle radicate disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro che traggono origine dagli stereotipi di genere. Guardando ai dati, secondo un terzo delle persone che hanno risposto al questionario proposto dall’OCSE, sono ancora prevalenti le opinioni tradizionali sulla distribuzione dei guadagni all’interno della famiglia, sul lavoro delle donne e la vita familiare, nonché sugli uomini e il lavoro di cura. In particolare, “l’idea che il padre sia il principale responsabile dell’assistenza” è osteggiata dal 28% dei rispondenti, “l’idea che la vita familiare soffra quando una donna lavora a tempo pieno” è sostenuta nel 34% dei casi, mentre “l’idea che una donna guadagni più del marito” è stata ritenuta inaccettabile dal 25% degli intervistati.

È dunque necessario prendere coscienza degli stereotipi di genere che permeano la nostra società per poter agire concretamente nella loro neutralizzazione e integrare una genuina prospettiva di genere nelle politiche pubbliche e private. Come anticipato, è il mainstreaming di genere la strategia da adottare per intraprendere una decisa inversione di rotta, con le prerogative di gender equality effettivamente incorporate nel momento di disegno politico. Eradicare convinzioni con radici risalenti e profonde come la visione stereotipata dei generi è un processo certamente molto faticoso che richiede tempo, ma è il presupposto basilare per un cambiamento effettivo ed efficace, che possa essere persistente.

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